Il 28 maggio 1819 Giacomo Leopardi ha scritto l’Infinito. Qualunque cosa intendesse esprimere ha deciso di farlo concatenando lettere per formare parole, separate da spazi e organizzate in versi. Ha preso le lettere e i segni di punteggiatura necesari da un repertorio convenzionale, noto non solo a lui, ma ai suoi contemporanei e a noi. Il repertorio, detto alfabeto, è così limitato che i pochi segni che contiene riescono ad essere molto diversi gli uni dagli altri. Sono tanto diversi tra loro che anche trascrivendoli senza troppa precisione risultano facilmente distinguibili a chiunque li conosca. E’ così che oggi riusciamo ancora a leggere ciò che Leopardi scrisse 200 anni fa, su un foglio che il tempo continua a ingiallire, conservato con cura nella sua città natale.
Ma ancora prima di averlo letto su questo foglio, l’avevamo letto nelle antologie scolastiche dove era stato riprodotto in caratteri a stampa, o in bei volumi rilegati con caratteri sottili e pagine sottilissime, o su grande manifesti affissi alle pareti. O magari l’avevamo ascoltato letto da un attore, da un poeta, da un prof. O ancora avevamo letto l’Infinito sul nostro quaderno a righe, dove la nostra stessa mano lo aveva trascritto mentre la maestra lo dettava a noi e a tutti i nostri compagni, nei quaderni dei quali stava comparendo per effetto della stassa magia chiamata scrittura, tanto diversa di banco in banco, eppure ugualmente capace di contribuire a diffondere quei versi.
La scrittura è una tecnologia intrinsecamente digitale, perchè riduce tutto ad una sequenza finita di simboli presi da un alfabeto finito. La sua forza e il suo limite stanno in questa duplice finitezza. Saremmo capaci di tanti altri segni, ma ci limitiamo ad usare 26 lettere perchè queste sono tanto facilmente riconoscibili da permettere ai testi scritti di superare il tempo e la distanza, venendo letti e trascritti, dettati, ricordati, ripetuti, recitati e poi ancora trascritti senza perdere nulla dell’originale. L’arte del poeta sta proprio nella capacità di utilizzare uno strumento così elementare e finito, come la scrittura, per esprimere qualsiasi cosa e rappresentare persino l’Infinito.
E’ lo stesso meccanismo che ci ha permesso di avere una narrazione, una storia, una cultura, di sviluppare e tramandare la nostra stessa umanità.
A queste riflessioni è dedicato il corso UMANODIGITALE, che grazie alla forza della scrittura e del linguaggio si è spinto fuori dalla piattaforma online nella quale viene liberamente offerto dall’Università di Urbino, per incontrare scrittori a cui porre una lunga domanda per ottenere una breve risposta.
Chiunque voglia rispondere a questa domanda, o voglia raccogliere la risposta di amici scrittori, è invitato a produrre un breve video-messaggio e a condividere il link come commento a questo articolo, indicando il nome e il cognome dello scrittore intervistato. I video entreranno a far parte del materiale di supporto al corso UMANODIGITALE.
DOMANDA
L’aggettivo DIGITALE viene usato come sinonimo di computerizzato, ma etimologicamente e praticamente fa riferimento alla nostra capacità di rappresentazione simbolica. La stessa che ha consentito all’homo sapiens di sviluppare il linguaggio, la scrittura, la numerazione e, ora, le tecnologie informatiche. Alla base di tutto c’è la capacità di rappresentazione dell’informazione come sequenza di segni presi da un alfabeto finito. Viviamo in un mondo analogico e continuo, ma lo raccontiamo in modo digitale e discreto. Facendolo perdiamo qualcosa, ma in compenso rendiamo infinitamente riproducibile ciò che riusciamo a descrivere e raccontare.
La scrittura è forse il più formidabile degli strumenti che abbiamo per fare questo. Da un lato è così grezzo ed elementare da rendere disarmante l’idea di usarlo per esprimere emozioni, sentimenti, saperi e idee. Dall’altro è tanto potente da consegnarli all’eternità della memoria colletiva degli esseri umani.
Finitezza e potenza entrano in gioco consapevolmente nell’atto creativo della scrittura?
RISPOSTA
Nel giorno dell’anniversario de l’Infinito, per aprire la serie delle risposte a questa domanda, pubblico il contributo di Umberto Piersanti, predidente del Centro Mondiale della Poesia e della Cultura Giacomo Leopardi di Recanati.
molto interessante perche rimane sempre qualcosa scolpita nell’anima per i posteri